N°17 Aprile 2025: “Il Paese che non nasce (più): come ricominciare da lavoro, parità e benessere”

Benvenuti e benvenute in questo nuovo numero della newsletter Walaland, dedicata a chi, come noi, si occupa di benessere nel mondo del lavoro.
📈🌈 In questo numero vogliamo condividere con voi alcune riflessioni sui recenti dati che emergono dal rapporto Istat 2024 sugli indicatori demografici.
L’Italia è sempre più un paese che fa fatica a rigenerarsi, invecchia e si svuota.
I dati ci offrono un'immagine nitida, e a tratti preoccupante, della direzione verso cui sta andando il nostro Paese. Il primo dato interessante è il tasso di fecondità che ha toccato un nuovo minimo storico: 1,18 figli per donna e poco più di 370.000 bambini nati, persino peggiore di quello del 1995. Parallelamente, la dinamica demografica continua a seguire un trend negativo, con un saldo naturale — ovvero la differenza tra nascite e morti — pari a -281.261 unità nel 2023, solo parzialmente compensato da un saldo migratorio positivo in crescita (+273.809).
Si accentua inoltre il processo di invecchiamento della popolazione: le famiglie italiane sono sempre più piccole, spesso composte da una sola persona. Oltre un terzo dei nuclei familiari è formato da individui che vivono da soli (36,2%) e la dimensione media familiare è scesa da 2,6 componenti (vent’anni fa) agli attuali 2,2. A tutto ciò si aggiunge il fatto che sempre più giovani italiani/e e figli/e di immigrati scelgono di trasferirsi all’estero per costruire il proprio futuro, dando vita a un’emigrazione interna che sta impoverendo il tessuto sociale ed economico del Paese.
Non è possibile affrontare il cambiamento che emerge dai dati con politiche pensate per un altro tempo, per un’altra società❗
L’attuale visione familista, sulla quale sono basate le politiche, non tiene conto delle trasformazioni in corso e non riesce a offrire risposte concrete, rischiando di accelerare un processo già in atto: le nascite calano, i/le giovani se ne vanno, la popolazione invecchia, e con essa diminuiscono risorse, energie, prospettive.
Le famiglie oggi sono più piccole, più fragili, spesso monogenitoriali e prive di quelle reti di sostegno su cui si è fondata per decenni la nostra organizzazione sociale: non possono reggere sulle proprie spalle il peso dell’assistenza e del lavoro di cura. Continuare a ignorare questa realtà significa lasciare indietro intere fasce della popolazione: donne, giovani, genitori.
Significa rinunciare a una visione di futuro
Se non porteremo le politiche di investimento sulle nuove generazioni - come l’accesso stabile al lavoro, salari paritari ed adeguati, valorizzazione del capitale umano, politiche abitative, servizi per l’infanzia e strumenti di integrazione tra vita privata e lavorativa - almeno ai livelli medi degli altri Paesi europei, continueremo a perdere capitale umano e vitalità sociale. Le aree interne, ormai spopolate e popolate da una maggioranza di anziani, sono lo specchio di ciò che potrebbe diventare l’Italia intera se non si interviene ora.
Angeli del focolare vs. breadwinner: la parità di genere è una sfida ancora aperta
La società italiana continua a non sostenere adeguatamente le donne e ancora una su cinque lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio
In questo contesto sconfortante si impone anche una riflessione sul tema della parità di genere. L’Italia, oggi, non è ancora un Paese in grado di garantire a una donna di essere contemporaneamente madre e lavoratrice. Questa dualità, che agli uomini è spesso concessa - in parte perché storicamente il ruolo di padre è stato sganciato da quello di caregiver - alle donne viene negata nei fatti.
Alcuni dati:
Se è vero che il tasso di occupazione femminile tra i 15 e i 64 anni si è lievemente incrementato ed è pari a 54,2%, il divario rispetto all’occupazione maschile rimane uno dei più elevati in Europa attestandosi al 17,6%. Occorre precisare però che la crescita si è verificata soprattutto tra le over 50 (+20%).
Sul part time la sproporzione di genere diventa ancora più evidente: il 36,7% delle madri lavora a tempo parziale, contro appena il 4,6% dei padri.
Infine tra le donne di 25-54 anni, il tasso di occupazione è del 68,7% se non hanno figli, ma scende di più di 10 punti percentuali (al 57,8%) se hanno due o più figli.
Numeri che parlano chiaro: è una società che continua a non sostenere adeguatamente le donne, in particolare le madri, e che perpetua una rigida separazione tra ruoli di genere. Da un lato l’uomo ancora visto come "breadwinner", dall’altro la donna, soprattutto se madre, confinata nel ruolo di “angelo del focolare”, chiamata a farsi carico del lavoro di cura e delle responsabilità familiari.
Le aziende come attori del cambiamento e l’alleanza con il Pubblico
Le trasformazioni demografiche e sociali non sono fenomeni esterni al sistema produttivo ma colpiscono direttamente le imprese
Le aziende oggi hanno non solo la possibilità ma anche la responsabilità di diventare attori attivi del cambiamento: non solo perché agiscono sulla società ma soprattutto perché ne subiscono le trasformazioni. La sempre più impegnativa sfida quotidiana di reperire lavoratori e lavoratrici, la perdita della capacità di innovare a causa della fuga dei giovani all’estero, la difficoltà a trattenere i talenti femminili diminuiscono la competitività e la redditività delle imprese. Per questo non è più possibile considerare il benessere collettivo come una responsabilità esclusiva dello Stato.
Per farlo, è necessario andare oltre iniziative frammentarie e investire in strategie strutturate di welfare aziendale e benessere organizzativo, capaci di rispondere in modo concreto ai nuovi bisogni delle persone.
Servono progettazioni che tengano conto della flessibilità lavorativa, della parità salariale (su cui ci sono novità rilevanti introdotte dalla Direttiva UE 970/2023), della valorizzazione delle competenze femminili, della genitorialità condivisa, delle politiche abitative e, più in generale, di tutto ciò che può contribuire a costruire un ambiente di lavoro equo, inclusivo e sostenibile.
Serve un approccio che non costringa le persone a scegliere tra carriera e famiglia, ma che accompagni le diverse fasi della vita professionale e personale. Un’azienda che riconosce i bisogni reali delle persone, che investe in stabilità, formazione, crescita, non solo costruisce un ambiente di lavoro più giusto, ma diventa anche più solida, competitiva, attrattiva.
Solo attraverso una reale alleanza tra pubblico e privato potremo costruire un sistema in cui fare figli/e non rappresenti una penalità, in cui restare in Italia non significhi rinunciare ai propri sogni, e in cui il lavoro sia finalmente uno strumento di emancipazione e benessere.
È tempo di cambiare rotta. Non per rallentare il declino, ma per costruire un Paese che torni a crescere. In tutti i sensi