N°2 Gennaio 2024 “Gender Gap: a che punto siamo? Le novità e l’importanza della equa gestione dei carichi di cura”

Tra congedo parentale e aumento della soglia fringe: analisi delle iniziative 2024 in tema di natalità e genitorialità.
Chi ci segue da tempo, sa che in Walà siamo convinti che una delle leve fondamentali per futuro più equo sia il superamento del gender gap. Ma quali sono le iniziative messe in campo sino ad oggi dal legislatore italiano, tra politiche sulla genitorialità e politiche di genere?
Secondo il professor Alessandro Rosina, demografo dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore: “L’Italia è attualmente uno dei casi più interessanti, nelle società moderne avanzate, di quanto la carenza di politiche adeguate renda l’avere figli uno svantaggio per la carriera e renda la carriera uno svantaggio per la realizzazione in ambito familiare.” (Avvenire, 16 dicembre 2023).
Le cause di questa condizione “diabolica”, che ha come esito un basso tasso di natalità, sono molte: i cambiamenti culturali, le difficoltà economiche, i problemi di armonizzazione tra la vita privata e lavorativa. Tutto ciò in un Paese che, come evidenzia Alessandro Rosina, ha prodotto sin qui politiche per la #genitorialità poco coraggiose.
Un esempio di tale approccio “carente” è la normativa sul congedo parentale che, peraltro, è stata oggetto di una recente riforma con il Decreto Legislativo n.105 del 2022, in applicazione della direttiva dell'Unione Europea 1158 del 2019.
La riforma, in particolare, ha esteso l'indennità di 3 mesi portandola agli attuali 9 mesi.
Chi usufruisce del #congedoparentale riceve un'indennità pari al 30% della retribuzione media giornaliera per un massimo di 9 mesi entro i primi 12 anni di vita della bambina/o o dall'ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento.
La Legge di Bilancio 2023 ha poi introdotto una maggiorazione all’80% per uno dei 9 mesi indennizzabili tra i genitori, mentre la manovra del 2024 ha incrementato l'indennità all’80% per un altro mese aggiuntivo (che, però, tornerà al 60% a partire dal 2025).
Un passo avanti, dunque, è stato fatto, sebbene per lo più per la necessità di adeguarsi alla normativa europea per il contrasto alle disparità di genere.
Nello stesso periodo, in Francia, uno tra gli stati Europei dove il problema della denatalità ha cominciato a farsi sentire maggiormente negli ultimi anni, il presidente Macron ha lanciato un vasto piano di “riarmo demografico” che, peraltro, comprende tra le prime misure proprio una modifica del congedo parentale, trasformato in un “congedo di nascita” di 6 mesi con un sussidio più alto per entrambi i genitori.
Equità di genere in Italia: dati rivelatori che mostrano sfide culturali e lavorative.
Ci pare di poter dire che anche in Italia siano necessarie politiche di ampio respiro.
Bisogna, però, tenere conto del contesto italiano dove persiste uno squilibrio di genere tanto nei modelli organizzativi e sociali quanto nella cultura diffusa che diventa sostanza leggendo i dati.
Basti dire che nel 2022 le lavoratrici mamme che hanno lasciato il lavoro sono state 44.699 (e di queste, il 63% ha dichiarato difficoltà di conciliazione tra lavoro e vita privata dopo il parto): un dato in crescita del 18,7% rispetto al 2021.
Se da un lato dal 2012 c’è stato un ’aumento del 3,3% (Banca d'Italia) della partecipazione femminile al mercato del lavoro, dall'altro nel medesimo lasso di tempo le dimissioni delle lavoratrici mamme sono più che raddoppiate passando da 18.454 alle attuali 44 mila (Ispettorato Nazionale del Lavoro).
Si deve considerare, poi, il numero di donne che dopo la gravidanza ridimensionano la loro condizione lavorativa: i dati ISTAT del 2021, infatti, mostrano come 1 donna su 4 lavori part-time (contro il circa 6% degli uomini).
È essenziale precisare che le dimissioni non riguardano esclusivamente le donne che percepiscono un reddito inferiore rispetto ai loro partner, ma coinvolgono anche un numero superiore di dirigenti donne rispetto al passato, con 410 dimissioni contro le 326 degli uomini (Ispettorato Nazionale del Lavoro).
Una cultura diffusa
Vi è poi il dato “culturale” che caratterizza il nostro Paese. Per i più, infatti, ancora oggi il supporto alle figlie/i (e/o ai genitori anziani) è una questione “da donne”.
Chi si prende cura delle figlie e dei figli quando sono malati e non possono andare a scuola? Chi partecipa ai colloqui con il corpo docente, o li accompagna alle attività sportive? La mamma, quasi sempre. Una cura che supera i primi anni di vita e si protrae fino al distacco dal nucleo familiare, in media in Italia intorno ai 30 anni di età (la media europea è intorno ai 26 anni).
A maggior conforto di tale condizione, i dati INPS confermano che ad oggi la percentuale di uomini che fruiscono del congedo è solamente del 20%, nonostante la normativa italiana preveda un vantaggio a favore del padre che usufruisce di un congedo superiore ai 3 mesi, concedendogli un mese in più di congedo.
Il mancato ricorso a tale opportunità indica la necessità di implementare azioni che incidano sul contesto culturale. Si deve tenere conto, poi, che entra in gioco anche un’ulteriore, quanto fondamentale, variabile del gender gap: il divario salariale. L'uomo, infatti, ha spesso lo stipendio più alto (quando non è l’unico ad averne uno) a cui il nucleo familiare può difficilmente rinunciare.
Il ruolo delle imprese: welfare aziendale, benessere organizzativo e genitorialità.
Tra le politiche di supporto alla natalità, la #manovradibilancio ha introdotto una soglia #fringe di 2000 euro per i dipendenti con figli a carico, il doppio dell'importo previsto per gli altri lavoratori, fissato a 1000 euro, scelta già attuata lo scorso anno, quando il delta era ancora più ampio: 3000 euro per i dipendenti con figli a carico vs. 258,23 euro fissato per gli altri dipendenti. Deve sottolinearsi, però, che ancora una volta non si tratta di riforme strutturali e di lungo periodo, come invece meriterebbe un tema tanto centrale per il futuro del Paese.
In ogni caso, appare chiara la volontà di affrontare il problema della #denatalità utilizzando il #welfareaziendale come leva sebbene appaia dubbio che 2000 euro in più all’anno spendibili in beni di consumo possano influire sulla scelta di avere un figlio.
Le politiche di natalità, infatti, necessiterebbero di un solido sistema di servizi per l'infanzia (e auspicabilmente anche per l’adolescenza) e per la genitorialità, a partire da azioni mirate a promuovere il bilanciamento dei carichi di cura all’interno delle famiglie.
In un quadro di politiche pubbliche “carenti”, dobbiamo domandarci quale possa essere il ruolo del sistema delle imprese italiane.
Noi crediamo che le aziende possano determinare non solo un miglioramento delle opportunità e della qualità del lavoro ma anche un radicale cambiamento nella retorica legata ai ruoli di genere.
Non solo perché ne ha le potenzialità, ma anche perché le è necessario.
Il sistema produttivo, infatti, non può fare a meno delle enormi potenzialità della componente femminile, compresa la parte rappresentata dalle donne con livelli di istruzione medio-bassi che oggi, come abbiamo visto, spesso sono costrette a rinunciare al lavoro una volta divenute madri, oppure a scegliere di non diventarlo con conseguenze devastanti sulla (de)crescita demografica.
Politiche che garantiscano un reale supporto alle famiglie, #worklifebalance, garanzie di opportunità professionali alle giovani madri, politiche di sostegno al rientro al lavoro dopo la gravidanza, promozione culturale per ridurre le retoriche sessiste anche e soprattutto sui luoghi di lavoro: questo mette le/i giovani in reale condizione di potere - e volere - avere un/a figlio/a.
Per esercitare questo ruolo, però, le imprese non possono accontentarsi del rispetto delle norme che, come detto, sono lo specchio di politiche carenti, ma debbono adottare un approccio incentrato sullo sviluppo delle carriere, affrontando “di petto” le disparità culturali e organizzative.
Esistono oggi diverse leve, coerenti con gli obiettivi strategici aziendali: la UNI/Pdr 125:2022 sulla #paritàdigenere, il sistema dei congedi parentali, l’accompagnamento al rientro dalla maternità, ecc. Tuttavia, bisogna essere consapevoli che queste misure producono risultati concreti solo se integrate in un progetto globale, anziché attraverso una frammentazione di interventi, ad esempio creando le condizioni che garantiscano alle donne, che spesso ottengono risultati migliori durante la formazione accademica rispetto ai colleghi uomini, l'accesso e il mantenimento di posizioni lavorative ottimali che non compromettano le loro scelte di vita.
🌺 Contribuire a creare un progetto organico che valorizzi tutte le risorse aziendali, supportare le aziende nell’identificare servizi ad hoc per utilizzare al meglio il recente aumento della soglia fringe, implementare azioni formative proiettate ad un cambiamento culturale, generare, insomma, un #benessereorganizzativo che caratterizzi l’azienda nel suo complesso: è il nostro impegno, al fianco delle aziende.